Vedo, sento, non parlo, ma piango.

 

Il pianto è uno dei principali modi di comunicazione che il neonato ha a disposizione per interagire con i genitori. È una sorta di sistema di segnalazione, che ha lo scopo di richiamare la propria mamma e fare in modo che le dia attenzione. Capire il piccolo è molto difficile: dopo la nascita tutti i pianti sembrano essere simili, varia solo il timbro della voce. Ognuno di essi però si caratterizza per avere un linguaggio corporeo ben preciso: è necessario tempo e pazienza affinchè il neonato impari a comunicare, ed il genitore ad interpretare.

Già a partire dai primi 15 giorni dalla nascita, si parla di pianto inconsolabile del primo trimestre di vita. Solitamente compare la sera, e puntualmente sempre dopo le ore 17. Il piccolo improvvisamente inizia con un pianto forte ed inconsolabile, si tira le gambe sull’addome, calcia, si fa rosso in viso e si irrigidisce. Nulla lo placa: ecco perché i genitori aumentano il loro stato di preoccupazione e tensione. Queste crisi talvolta durano anche ore, ma finiranno per calmarsi e indurre un sonno tranquillo. Le motivazioni sono ignote: alcune indotte da uno stato di irrequietezza, altre emotive legate alla relazione madre-bambino. È fondamentale cercare di consolare il neonato, creare un ambiente tranquillo, ascoltare della musica, fare un bagnetto se gradito, stringerlo e contenerlo, cullarlo, offrirgli il proprio seno. Il pianto è solo il segnale più tardivo di incomprensione tra il piccolo che cerca di comunicare qualcosa ed il genitore, che non l’ha individuato precocemente. Osservare il proprio bambino, l’atteggiamento, i suoi movimenti, e focalizzarsi su ciò che maggiormente lo rilassa, saranno le armi vincenti per combattere il pianto neonatale.

 

Conosciamo nello specifico le varie tipologie di pianto di un bambino. Uno studio scientifico documenta 7 tipi differenti, a seconda delle esigenze del bambino:

  1. Pianto per fame. Prima del vagito, solitamente il piccolo comunica attraverso lo schioccare della bocca o della lingua, mima la suzione, gira la testa, cerca il seno, allunga il collo all’indietro, ciuccia il dito o la mano. Successivamente, inizia a lamentarsi con rumori della gola per poi trasformarsi in un pianto stabile. Cosa fare? Offrirgli il seno è ovviamente la soluzione ottimale.
  2. Pianto notturno o per sonno. Piange soprattutto perché sente il bisogno del contatto materno o semplicemente per stanchezza. Quest’ultimo si presenta come un pianto emotivo, lamentoso, che può iniziare già nel tardo pomeriggio e protrarsi per diverse ore. Il fatto di non avere ancora una quantità adeguata di melatonina fa si che il piccolo non sincronizzi bene i ritmi sonno-veglia: molte volte dormono di giorno e poco la notte. Dal terzo mese le cose cominceranno a cambiare, ed il neonato acquisirà una routine ciclica. Il pianto notturno invece, si mostra improvviso, forte, si sveglierà agitato dal sonno. Come riconoscerli? Sbadiglia, sbatte le palpebre, inarca la schiena. Se ha bisogno di contatto cerca con lo sguardo il genitore. È importante eliminare stimoli esterni, cantargli una canzone, contenerlo o addormentarlo al proprio fianco e poi metterlo nella sua culla.
  3. Pianto per coccola. È un lamento continuo ma con pause di “attesa”, ovvero attende dopo la sua comunicazione una reazione genitoriale alla sua richiesta. Desidera essere preso in braccio, cambiato di posizione, ascoltato ed un ottimo rimedio è parlargli.
  4. Pianto per pannolino sporco. Quando è bagnato, il piccolo piange in maniera lamentosa. È un segnale di disagio, malessere, non di dolore o sofferenza.
  5. Pianto per aria nella pancia. Talvolta è molto agitato, soprattutto dopo o durante il pasto. Altre, invece, inizia con grida improvvise, irrigidendosi e con espressioni di sofferenza. Il pianto colitico, la cui massima espressione è nel secondo mese, può essere risolto prendendo il braccio il piccolo, cullandolo, coccolandolo. La ricerca di contatto con il seno materno non è solo nutrimento fisico, ma anche affetto, sicurezza e non abbandono. I massaggi al pancino o porre del calore, aiutano maggiormente la risoluzione del problema.
  6. Pianto per disagio. È il lamento ad esempio per il caldo, od il freddo. Inizia con respiri affannosi, a volte anche tremolii e termina con un pianto forte. Talvolta si presenta rosso, sudato, altre volte con mani e piedi freddi bluastri. È importante spogliarlo e abbassare la temperatura, oppure, al contrario, coprirlo.
  7. Il pianto per dolore. L’espressione facciale è proprio quella di un dolore. Spesso si muove cercando di localizzare l’area interessata, altre volte, come per la febbre, tende ad assopirsi. Ovviamente è necessario in tal caso contattare il proprio pediatra.

A tutti questi specifici target, è importante tentare delle strategie che permettano al piccolo di rasserenarsi: portarlo in fascia, contenerlo nella sua copertina, dondolarlo, passeggiare con lui, il contatto pelle a pelle, fare il bagnetto, uscire di casa, ascoltare della musica o cantare, cambiargli posizione.

 

La ricetta per far smettere di piangere un bambino non sempre è nelle mani della mamma e del papà: finchè il bambino ed i suoi genitori non si conoscono a pieno, bisogna ricercare le possibili alternative, una alla volta. È un viaggio lungo, ma appartiene alla più bella conoscenza esistente.