Le parole sono lividi.

 

Il 25 Novembre è stata la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, ricorrenza importantissima che dopo tanti anni, con estrema fatica, è riuscita ad emergere e a far parlare di sé. Appositamente non ho voluto dedicarmi in quella data all’argomento: le donne e l’importanza del loro essere non devono essere ricordate principalmente quel giorno. Abbiamo 364 altri momenti per riflettere sul loro valore più vero e profondo.

Il tema della donna sin dal passato ha fatto molto discutere: l’evoluzione dell’essere femminile ha da sempre combattuto e conseguito fantastici risultati. Il ruolo della donna nella società, all’interno del nucleo familiare, lavorativo, il suo essere tanto debole quanto estremamente coraggiosa, la sua esuberanza ma allo stesso tempo timidezza. Nonostante sia sempre stata un elevatissimo elemento di potenza, oggi non viene ancora espressa la sua completa libertà.

 

Quando parliamo di violenza contro le donne, dobbiamo considerare diverse realtà: quella fisica, la più semplice da riconoscere, ma anche quella psicologica e quella economica. Parlare di violenza di genere significa mettere in evidenza la dimensione sia sessuata, sia introspettiva del fenomeno: mettere le donne ad una posizione subordinata rispetto gli uomini e l’esterno.

 

La violenza fisica nel mondo interessa 1 donna su 3; in Italia, il 31,5% ha subito nel corso della vita qualche forma di violenza fisica o sessuale. Ovviamente, i dati aumentano notevolmente in questo momento di crisi sanitaria, in vista delle restrizioni da noi stesse non imposte. La più comune è la violenza domestica, esercitata in ambito familiare o di conoscenti, i maltrattamenti fisici e psicologici, lo stalking, le percosse, gli abusi, fino ad arrivare agli uxoricidi.

 

Non sottovalutiamo la violenza economica: il controllo di denaro e proprietà da parte di altri, il divieto di intraprendere attività lavorative come si vorrebbe e dove si vorrebbe, la libertà di esercitare ed il divieto di ogni iniziativa autonoma. E ancora, il mobbing, la sessualità sul campo lavorativo, i più radicati matrimoni combinatori e riparatori, la prostituzione forzata. Inevitabilmente tutto ciò si tramuta anche in una grande ferita psicologica.

 

La violenza psicologica è la più grande forma di sofferenza nascosta e silente: non è solo espressione emotiva di tutte le precedenti, ma comprende un vasto mondo di debolezze emotive da parte di uomini, amici, altre donne, famigliari. Pensiamo banalmente alla svalutazione, al senso di inadeguatezza provocato, all’autocolpevolezza, alla gelosia patologica, alla violenza verbale, alla manipolazione e all’abuso emotivo: quando le parole lasciano i lividi. Tra queste fa parte la violenza ostetrica, quella forma di cui si sente poco parlare e che nasce dall’imposizione di cure senza il consenso della donna, soprattutto durante l’evento della nascita. Ogni donna ha il diritto di affrontare la maternità con consapevolezza, rispetto e soprattutto fiducia verso chi la assiste: domandare un “Posso?” è un dovere.

 

Rispettiamo l’essere femminile sempre. Non ricordiamoci dell’essenza che è solo il 25 novembre. Ogni forma di violenza è una cicatrice sulla pelle, ma soprattutto sul cuore, che da sempre, batte forte per vincere la libertà.